AUREA: DIEGO CAJELLI E ROBERTO RECCHIONI PORTANO AZIONE E ARTI MARZIALI TRA LE STRADE DI MILANO
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Alcuni giorni fa sul blog di Roberto Recchioni ho letto una notizia che ha fatto crescere a dismisura la mia curiosità. Roberto, in pratica, ha raccontato di essere stato contattato da un editore per sviluppare una nuova serie e che, dopo una breve gestazione, la serie è stata messa in pre-produzione (QUI potete leggere il post originale).
Per saperne di più ho a mia volta contattato l’autore romano che mi ha così risposto:
“Qualche tenpo fa, Enzo Marino dell'Aurea Editoriale mi ha chiesto di proporgli qualcosa di nuovo che andasse a sostituire John Doe, una volta concluso. Enzo aveva qualche idea e preferenza a riguardo delle tematiche e dell'approccio. Io, sapendo che non avrei avuto il tempo di scriverlo ma avendo già in mente chi lo avrebbe potuto fare al posto mio, ho messo in piedi una mezza idea che si sposasse con le istanza dell'editore e con le specifiche qualità dello sceneggiatore.
L'idea a Marino è piaciuta e io ho contattato Diego Cajelli che ha sviluppato, in completa autonomia, quello che era solo uno spunto. Questo per dire che la serie è, a tutti gli effetti, un prodotto di Diego e che io ho solo fatto da tramite e aggiustato un poco il tiro, in virtù della mia esperienza con l'editore. Detto questo, io e Diego abbiamo presentato il progetto in Aurea. E' piaciuto e, giusto ieri mattina, siamo passati nella fase operativa.
Io, personalmente, mi sono ritagliato il ruolo di produttore/amico, nel senso che ho dato una mano a Diego a comporre la scaletta dei disegnatori, trovato un copertinista e che, nel futuro, cercherò di aiutare Diego come posso nella produzione e coordinamento del lavoro, ma non avrò alcun ruolo di scrittura.
Di cosa parla la serie? E' una serie d'azione e arti marziali (molte arti marziali), ambientata oggi, a Milano. Di più, per ora, non dirò. I disegnatori sono Luca Genovese (che è anche il creatore grafico), Gianluca Maconi, Francesco Mortarino, Antonio Fuso e altri (alcuni ancora da confermare, uno o due ancora da trovare). Il copertinista è LRNZ, in arte, Lorenzo Ceccotti.”
La nuova serie dovrebbe vedere la luce, facendo due conti al volo, la prossima estate quando John Doe arriverà alla sua naturale (e ampiamente programmata) chiusura. Continuate a seguirmi, cercherò di fornirvi altre news!
20 commenti:
bella idea, qualcosa "di nuovo" e nelle corde dei Nostri... staremo a vedere, le premesse sembran buone
Qualcosa di nuovo? Dov'è il nuovo se la Bonelli sta proponendo Shangai Devil? Se questo è il "nuovo", non è meglio continuare ad investire nell'acquisizione di licenze di fumetti sud-americani (nettamente migliori dal punto di vista qualitativo)? Investimento sicuro e ricavi garantiti.
Superheld, ma cosa stai dicendo?
Si tratta di serie o di miniserie?
La differenza sul punto si coglie in relazione al principale personaggio pubblicato dalla Aurea: Dago. Quando a scrivere le storie è il grandioso Robin Wood e a disegnarle è Carlos Gomez, la qualità tocca sempre vette altissime e contenuti sono così significativi da non lasciare spazio (se non in casi rarissimi) a giudizi negativi. Quando, invece, le storie di Dago vengono scritte e disegnate da autori italiani, il risultato è quasi sempre inconsistente. A volte, sembra quasi di leggere storie di personaggi differenti. Spesso nella pagina della posta del mensile Ristampa Dago, lamentele di questo tipo vengono ospitate. Tanto che molti domandano e si domandano: non è meglio concentrare gli sforzi sulla Ristampa e chiudere il mensile (che vive unicamente della rilevanza riflessa della Ristampa)? In definitiva, se il materiale sud-americano è di buona qualità (come nel caso di Dago), ha senso puntare su autori italiani, che non possono garantire uguali risultati qualitativi? In Italia, lo spazio riservato dalle opere "italiane" di autori "italiani" è, per il 99%, occupato dalla Bonelli. Tentativi di mutare questi rapporti di forze hanno sempre avuto esito negativo.
già...Gli italiani a fare fumetti fanno petare
Ma che discorso! Quindi non dobbiamo più produrre fumetti in italia? Oltre Bonelli? Non val la pena replicare!
Mi permetto solo di dire che Dago (il monografico) tranne rari casi, non è scritto da autori italiani.
Riguardo al paragone Shangai Devil con la serie Aurea è un paragone assurdo. Una è una ricostruzione storica l'altra una serie di Arti Marziali. E una serie di Arti Marziali italiana è cosa ancora più nuova di una serie storica. Poi capisco che la bonelli domina, ma questo non vuol dire che non si possa provare a proporre altro da parte di altri autori...magari con buoni risultati qualitativi come ad esempio John Doe o Valter Buio
Shangai Devil è una brillante serie di Bonelli Editore. Scritta molto bene e disegnata in modo egregio. Lo scenario e il contesto storico sono realizzati in maniera fedele, ma anche originale, riuscendo a catturare l'interesse del lettore. Il parallelo con l'opera prima indicata è stato fatto per le similitudini e il contesto che richiama scenari orientali, pur essendo ambientato in una città italiana. E qui vengono i nodi al pettine: l'idea di una storia di "arti marziali" a Milano non appare, a parere di chi scrive, valida. Sarebbe come ambientare una storia western nella pianura Padana. Un giudizio più preciso potrà essere dato se e quando la serie uscirà. Per il momento, a parere di chi scrive, i presupposti non appaiono convincenti. Per tali motivi, attesa la maggiore importanza (anche dal punto di vista qualitativo) di autori sud-americani (come il grandissimo Robin Wood, che riesce a stupire ed affascinare in ogni storia di Dago), per un editore già attivo nella trattazione di licenze di quel mercato, sarebbe consigliabile investire esclusivamente in esso, importando un maggior numero di prodotti (non solo di Wood, ma anche di altri), senza trascurare il mercato franco-belga (ancora troppo schiavo di prezzi e formati non alla portata di tutti). Per quanto concerne il dominio Bonelli sul mercato italiano, l'unica alternativa che storicamente si è imposta è rappresentata da Diabolik della casa editrice Astorina. Questo non implica che altri editori non debbano cercare di porsi come concorrenti rilevanti. I risultati, almeno finora, non sono stati positivi. Fatta eccezione per Lazarus Ledd (che si impose come una interessante alternativa negli anni '90 del secolo scorso e nei primissimi anni del secolo), il resto non è mai riuscito ad imporsi. Tante miniserie con l'obiettivo di trasformarsi in serie regolari, senza mai centrarlo. Per Valter Buio vale lo stesso discorso. Tanti complimenti da parte di qualche decina di utenti su un paio di forum e niente di più. Credere alla storiella che una serie non potesse essere proseguita perchè troppo "faticosa" da gestire e curare per l'autore, è difficile. Probabilmente, le vendite non sono mai state ritenute di livello tale da giustificare nuovi investimenti da parte dell'editore in seconde o terze stagiioni. La conferma che non bastano decine di commenti favorevoli sui forum perchè la realtà, molto spesso, disegna scenari e contesti diametralmente opposti.
Cos'ha di sbagliato arti marziali a Milano? L'urlo di chen terrorizza l'occidente non era forse ambientato a Roma? E quanti film di arti marziali si svolgono in America?
Poi ricordiamoci che Cajelli è uno degli autori più validi che esistono in questo momento...
"L'urlo di Chen terrorizza anche l'occidente" uscì nelle sale dei cinema orientali nella prima parte del 1972. Fu il primo film diretto da Bruce Lee e il pubblico lo interpretò come un film comico. Nella sua interpretazione, Lee apparve ironico, simpatico, dimostrando buone doti recitative. La scena del combattimento in Colosseo con il maestro di karate californiano Chuck Norris (amico di lunga data dello stesso Lee), salvò una pellicola che del genere "arti marziali" aveva ben poco. Fu anche il primo film di Hong Kong girato all'estero. Stesso discorso per i film di arti marziali girati e ambientati in America: non sono mai stati considerati veri e propri film del genere (così come anche storie di libri o di fumetti). Gli unici film di arti marziali veri e propri sono stati quelli girati e ambientati in in Asia. I film di Jet Li ne sono un esempio. E' sufficiente prendere in considerazione il successo di Ip Man e Ip Man 2 (che hanno presentato la stella Donnie Yen) per capire cos'è una ambientazione vera di arti marziali. Quando i film "gong-fu" cominciarono ad apparire in Italia, agli inizi degli anni '70 dello scorso secolo e la stella di Bruce Lee iniziò a brillare anche a ovest, alcuni produttori italiani volevano ripetere l'esperimento che aveva già portato felicemente alla nascita del genere "western all'italiana". Pensavano di realizzare film in cui le arti marziali avrebbero brillato in scenari diversi (fu prodotto anche un film chiamato "Il mio nome è Shangai Joe", espressione del fenomeno "Spaghetti kung-fu"). Così, un produttore (di cui mi sfugge il nome), agli inizi del 1973 si recò ad Hong Kong per incontrare il grande Bruce Lee e proporgli di girare un film realizzato e diretto da italiani, dove lui sarebbe stato il protagonista assoluto. L'incontro ebbe luogo negli uffici della Golden Harvest (la casa di produzione che aveva Lee sotto contratto) e furono compiuti i primi passi di un possibile accordo. Appena vide i produttori italiani, Lee sfoggiò tutta la sua potenza espressiva e ad un certo punto mostrò tutta la sua incredibile potenza fisica e atletica, facendo capire agli italiani che quello che vedevano nei film non era solo scena o effetti speciali. Alla fine, però, l'accordo non fu raggiunto: Lee chiese un compenso elevato per gli standard dell'epoca e i produttori italiani se ne tornarono a casa a mani vuote. Mesì dopo, quando arrivò la notizia della scomparsa del mitico attore, se ne pentirono perchè capirono di avere perduto una occasione storica.
In definitiva, è più convincente la serie "Shangai Devil" della Bonelli, ambientata in uno scenario naturale e tipicamente orientale, che non una storia di arti marziali a Milano. D'altra parte, se Aurea Editoriale ritiene di dover investire in un progetto simile, si tratta di decisioni che saranno sottoposte al vaglio del giudizio dei lettori, se e quando la serie uscirà. Almeno per il momento, però, è difficile non pensare al fenomeno dei b movie.
caro superheld o ricky o come vuoi tu, se così tanto ti atteggi da profondo conoscitore delle dinamiche editoriali italiane dovresti pure poter immaginare che se V.B . non ha avuto seguito non è stato certo per il poco successo.
E' stata la prima serie Star ad avere un incremento di lettori dai tempi di lazarus ledd.E' stato un successo per i singoli autori che sono tutti o quasi passati in Bonelli. Se la serie non è continuata è solo perchè la Star non ha offerto condizioni lavorative ed economiche adeguate allo sforzo che la serie richiedeva a fronte dell'incapacità del'apparato redazionale di una casa editrice che si avvale di collaboratori altamente inadeguati. Nessuno degli autori si è sentito di continuare una serie con quel livello grafico per la paga e le tempistiche che la casa editrice offriva.
E se questo lo so io che sono un anonimo qualunque lo possono sapere tutti, basta chiedere in giro.
Superheld è più che sufficiente, grazie. Il resto non mi tange. Il mondo dell'immaginario ha delle regole diverse a seconda dei punti di vista. C'è chi è così affezionato ad una idea da credere ad ogni cosa, anche alle più improbabili, pur di sostenerla. E' il caso di Valter Buio. Non occorre essere fini conoscitori delle dinamiche editoriali (come fanno alcuni) per capire (e non immaginare) che se una serie non prosegue, nel 99% dei casi il motivo è da ricercare nelle vendite non soddisfacenti. L'editore non ha mai svelato i dati di vendita, nè, sotto questo profilo, sono credibili quelli forniti anche da addetti ai lavori o autori (che non indicano mai fonti riscontrabili). Si può essere così ingenui da credere che una serie non possa continuare perchè il peso per l'autore è troppo grande? Chi lo vuole credere, faccia pure. Come sopra, il mondo dell'immaginario ha delle regole molto relative, che si adattano alla fantasiosa rappresentazione del caso. La realtà, invece, è caratterizzata da regole precise, che non lasciano spazio ai sogni e alle fantasie delle persone. Questo è un dato di fatto indubitabile (e per quanto si chieda "in giro", non muterà mai). Tornando al discorso principale, come spiegato negli altri interventi, in un momento di crisi accentuata come quella che stiamo vivendo, è consigliabile per gli editori investire in prodotti sicuri e affidabili dal punto di vista dei ricavi. E poichè il mercato sud-americano è foriero di prodotti brillanti sotto questo aspetto, è in quella direzione (e non in altre) che dovrebbero essere impiegate le risorse (sempre che non si vogliano ripetere errori della precedente gestione, che portarono, alla fine, alla chiusura di Eura Editoriale dopo una esperienza trentennale).
Non capisco i motivi per cui Supersheld imposti tutta una critica a un fumetto ancora in pre-lavorazione basandosi sulle pochissime notizie disponibili. Arti marziali a Milano. E allora? Potrebbe essere un capolavoro alla Frank Miller o una ciofeca alla (inserire nome a piacere). A meno che il discorso non esplicitato sia diretto agli autori coinvolti sul cui sopravvalutato valore credo S abbia forti dubbi. Ma, ripeto, non lo sappiamo, per cui di che parliamo? Si poteva esprimere gli stessi dubbi su Shangai Devil prima della sua uscita (arti marziali a shangai: non è banale?) Resta da vedere poi se l'originalità sia un valore assoluto o dipenda anche dalla qualità intrinseca dell'opera, ma questo è un discorso difficile. Io direi di aspettare e vedere, prima di giudicare. Tutto il resto, la l'analisi da esperto (?) sulle scelte commerciali della casa editrice, la scuola sudamericana ecc mi sembra solo un'elaboratzione complicata e fumosa per nascondere il vero obiettivo della critica, Recchioni e Cajelli.
Le critiche sono state fatte sul concetto della serie, per il quale è stato sottolineato come l'idea di una testata a fumetti incentrata sulle arti marziali a Milano non convinca (così come tutti i film, libri e fumetti ambientati in scenari non orientali, nei quali le arti marziali sono sempre state descritte come strumenti di offesa e privati di tutti i contenuti filosofici e intimisti tipici della cultura da cui hanno avuto origine. Ed è "questo" ciò di cui parliamo. Le critiche sono state rivolte alla casa editrice, sottolineando che in un momento così difficile dell'economia è meglio puntare su progetti di sicura affidabilità (come il mercato sud-americano e Robin Wood in particolare), che danno maggiori garanzie in termini di ricavi. Il problema è un altro: ogni volta che le arti marziali sono state collocate al di fuori del loro ambito, il risultato è sempre stato scadente. Nella visione occidentale, fare karate o kung-fu equivale ad apprendere strumenti di offesa, mentre nella cultura orientale il significato è molto più profondo e si può cogliere solo nel giusto scenario. Spostarle fuori da esso, implica snaturarle e impoverire i significati culturali che gli sono propri. Shangai Devil della Bonelli costituisce l'esempio della buona serie a fumetti dove un elemento (la lotta in stile orientale) è stato collocato nel suo ambito naturale, arricchendo il contesto storico e rendendolo affascinante ed accattivante per il lettore. Un risultato eccezionale che non stupisce: Bonelli propone fumetti made in Italy da decenni con rinnovato successo. Ogni colpo viene attentamente studiato, realizzato e proposto nel modo migliore. Ma soprattutto, in un momento così difficile non dovrebbero esservi spazi per gli sperimentalismi. I lettori li mal digeriscono e in un momento complicato per l'economia dove è necessario tagliare i rami secchi, i prodotti più poveri e deboli finiscono per soccombere. Poichè, però, l'editore è libero di fare le sue scelte e di proporre le sue idee al mercato, saranno i lettori a giudicare, premiando con l'acquisto i prodotti più validi. Per il momento, il concetto su cui sembra costruita questa nuova serie non convince e difficilmente riuscirà ad imporsi in un mercato, che non perdona (specie in questo periodo) i prodotti traballanti.
Continuo a non capire su quali fondi il tuo ragionamento. O meglio, quali dati oggettivi, visto che per ora sono impossibili, non essendoci materiale da giudicare. I tuoi sono solo giudizi soggettivi, peraltro decisamente ridicoli. Secondo me Shangai Devil non l'hai manco letto.
Non è poi così difficile da capire l'oggetto delle critiche passate in rassegna nei precedenti interventi. I giudizi vengono effettuati tenuto conto degli elementi offerti o in disponibilità nei mezzi di comunicazione. Sovente, il lancio di una serie a fumetti viene preceduta da annunci di quelli che potrebbero essere i suoi contenuti (sia grafici che testuali). In questo caso, l'attenzione della critica viene appuntata su un elemento che è stato annunciato e sintetizzato come "arti marziali a Milano". Non sempre l'ambizione di essere originali viene supportata da validi presupposti, soprattutto quando travalica i confini della normalità alla ricerca di soluzioni innovative. E' il caso che occupa questi interventi. Di difficoltà di recepimento dei significati non se ne intravedono, così come non è arduo argomentare su concetti semplici, chiari e intellegibili. Non è il caso di ritornare sull'aspetto fondamentale della critica (le arti marziali collocate fuori del loro scenario naturale perdono di pregnanza e finiscono per costituire uno dei tanti elementi secondari del contesto narrativo o di fiction nel quale sono inserite. Al lettore sprovveduto questi concetti spesso appaiono invisibili, ma una volta passato in lettura il prodotto, la realtà assume contorni più chiari e comprensibili. Non meno rilevante è l'aspetto economico-finanziario: le notizie dal mondo dell'economia e dai mercati sono agghiaccianti e in uno scenario del genere non ha senso investire in sperimentazioni che difficilmente saranno premiate. Molto più sicuro puntare su prodotti che già garantiscono una certa affidabilità dal punto di vista dei ricavi. Shangai Devil della Bonelli rispecchia questa visione e il favorevole accoglimento ne costituisce la dimostrazione più evidente. Non una novità: ogni lancio dell'editore milanese è preceduto da ricerche attente e una organizzazione di lavoro sopra la media.
A parte il fatto che non hai risposto al mio dubbio, mi diverte vedere come farcisci di pensieri inutilmente complessi e di parole altisonanti i tuoi interventi, che poi sotto sotto non voglion dire poi tanto. Solo pregiudizi chiusi e bigotti (di un bigottismo riferito ad una certa fetta di mercato ovviamente). E' evidente inoltre che ti sfuggano concetti come post-moderno e reinterpretazione, ma, hey, l'esperto sei tu.
Supersheld, scusa ma sembri andato in loop. A parte la tua difesa a oltranza di Bonelli, che fa sorgere il sospetto di una tua qualche ricerca di benemerenza, la tua analisi sulla finanza mondiale e il ragionamento riguardo le arti marziali, di cui evidentemente conosci poco, non hanno molto senso. Perchè non ammetti francamente che l'unica tua perplessità sono gli autori coinvolti, che non ti piacciono?
Il mio pensiero è stato esposto sufficientemente nei precedenti interventi, motivato sotto tutti i punti di vista e non richiedono ulteriore approfondimento. Tutto il resto non ha importanza e le costanti punzecchiature, farcite da una insistenza che può essere ritenuta solo provocatoria e fastidiosa, alimentano il pensiero che gli interventi "anonimi" o "anonimi numerati" in cui si condensano queste aspetti biasimevoli sono riconducibili ad una stessa fonte che manifesta il chiaro proposito di imporre agli altri interlocutori una posizione e una opinione totalmente estranea a quella effettiva (come emerge dalla assenza di riferimenti di natura personale). Il gioco non sarà ulteriormente alimentato e nuovi contributi arriveranno solo a seguito di innovative manifestazioni di opinione o di critica sul concetto da cui ha preso spunto la presente discussione. Infine, pare opportuno ribadire come la valutazione della difficile situazione di mercato imponga una maggiore ponderazione nelle decisioni di investimento e nella scelta dei prodotti da pubblicare (specie di quelli che offrono più solide garanzie dal punto di vista dei ricavi).
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